Turillo Sindoni: "Nemo propheta in patria"
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- 12 set 2020
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“Continuo a raccogliere onori e quattrini in Italia e all’estero”, scrive Turillo Sindoni nel 1937 in una lettera spedita al fratello Luigi, gentilmente fornitami dal pronipote prof. Luigi Sindoni. Lo scultore, nato a Barcellona Pozzo di Gotto nel 1868 e morto a Roma nel 1941, era all’apice della fama, tanto che in un’altra lettera del 1938 riferisce al fratello: “Di quella grande statua da me eseguita al Ministero della guerra, ne ho fatta una copia per Hitler, offerta dal Duce. La statua è piaciuta moltissimo a tutti ed ho ricevuto le congratulazioni anche dal Fuhrer”. E aggiunge. “Io sono artista e non fascista, né comunista e né socialista. Sono rispettato da tutti per il mio carattere strafottente e indipendente!”

Il suo successo si era consolidato durante il fascismo, ma Turillo Sindoni era ben noto a Roma sin dall’ultimo decennio dell’ottocento. Da ragazzo aveva dato prova del suo talento nel modellare pastori di argilla per il presepe (in cui raffigurava volti di amici e conoscenti), o varette in miniatura della processione del Venerdì Santo. Si racconta che si è formato in una bottega artigiana del quartiere Quartalari e nel laboratorio dei marmisti Genovese e Mamì, che realizzarono molte statue, le quali ancora oggi adornano il cimitero di Barcellona, che era stato inaugurato nel 1877. Su segnalazione di don Tino Cattafi e di Silvestro Picardi (benefattori della Società Operaia di Mutuo Soccorso, dei quali egli realizzò due busti, che sono custoditi nella sede sociale), il Comune, a sue spese, deliberò di fare perfezionare il talento del giovane prima a Messina e poi all’Accademia delle Belle Arti di Roma.
Per un breve periodo aprì un laboratorio in via Immacolata, non molto distante dalla sua abitazione, sita nel vicolo di San Paolino presso il Largo di via Scinà.
Negli anni novanta due giornali messinesi “Il Marchesino” e il “Nuovo Imparziale” danno notizie di sue sculture realizzate per il cimitero di Messina e di busti per importanti esponenti della aristocrazia siciliana. Negli ultimi anni del secolo egli realizzò, tra l’altro, il monumento funebre di Enrico Cherubini nel cimitero di Messina, il monumento a Felice Cavallotti per la città di Milano e il Monumento “Pro Candia”, acquistato dal Re di Grecia per il Palazzo di Atene, che gli valse la onorificenza dell’Ordine della Legione d’onore ellenica. Nelle opere di questo periodo l’arte di Sindoni appartiene alla cultura tardo romantica, di accezione celebrativa, tendente a proporre il dato reale in forme ideali ed eroiche. Nelle opere successive rivela l’assimilazione del linguaggio di gusto liberty, che si può notare in molti monumenti funebri e nei ritratti eseguiti con grande accuratezza e padronanza tecnica, che gli consentivano risultati di spontanea ed espressiva somiglianza.
Lo scultore si stabilì a Roma, dove aprì tre studi (in via Margutta, via del Babbuino e in Piazza della Libertà) e nel 1904 sposò Anna Elisabetta Rainati, nipote di Papa Sarto, Pio X. Egli era apprezzato dalla aristocrazia romana, perché aveva effigiato sia la regina Elena, sia la regina Margherita, la quale gli donò una spilla d’oro con una M, che egli raffigurò al collo della madre Marianna Coppolino nel busto in bronzo del cimitero.
Dopo la prima guerra mondiale gli furono commissionati dal re Vittorio Emanuele III° alcuni monumenti celebrativi della vittoria (di cui una foto apparve sulla Domenica del Corriere nel 1919), tra i quali il monumento alla gloriosa Brigata Regina (1921), collocato nell’Altopiano di Asiago, e il monumento agli eroi del Piave (1922). Da allora le sue opere furono richieste in molte città italiane e all’estero. A Roma ha realizzato diverse statue per gli edifici pubblici e di alcuni ministeri, tra cui quello del Palazzo delle Poste. Suoi monumenti si trovano in Brasile, Argentina, Uruguay, Nicaragua. Per gli Stati Uniti ha eseguito le statue di Edison, Washington, Teodoro Roosevelt, Cristoforo Colombo e Guglielmo Marconi. Per Malta ha realizzato il monumento intitolato “Apoteosi della lingua italiana con Dante e la Divina Commedia”. Nel museo dell’isola d’Elba si conserva una piccola statua in bronzo di Turillo Sindoni, raffigurante Napoleone Bonaparte, che egli donò agli abitanti dell’isola, proponendo la realizzazione del monumento nel 1914, centenario del confino dell’imperatore francese nell’isola. Ma la statua di dimensioni naturali non fu mai eseguita a causa di divergenze tra i consiglieri comunali.
Innumerevoli sono le opere realizzate per molte città italiane (Caserta, Taranto, Monterotondo, Amatrice, ecc.) e in Sicilia (Augusta, Ragusa, Tortorici, Sant’Agata di Militello, San Piero Patti, Castroreale – in Piazza delle Aquile, ecc.). A Messina ha realizzato due statue in bronzo di S. Matteo e S. Luca e due bassorilievi in bronzo, che sono collocati sulla facciata della chiesa di S. Antonio Abate. Nel cimitero di Barcellona ci sono tre sue opere in bronzo, dedicate alla madre, al cugino agrumicultore e al generale Mario Scardino. E’ stato rubato il puttino in bronzo, su commissione da ignoti, che lo hanno asportato dalla colonnina che lo sorreggeva all’inizio del viale centrale. Alcuni parenti conservano gelosamente altre opere, delle quali sono venuto a conoscenza tramite Angelo Perdichizzi, il dottore Coppolino, Orazio Cilona e il figlio architetto.
Barcellona Pozzo di Gotto non si può fregiare di un Monumento ai caduti di Turillo Sindoni a causa di un contenzioso con i responsabili del comune, che, dopo la fine della prima guerra mondiale, gli avevano commissionato l’opera, ma poi si sono opposti alla sua richiesta di apporre sul monumento la scritta “Donato dall’autore”. Si racconta che Turillo Sindoni, per tutta risposta, fece rispedire a Roma le casse, che erano già arrivate alla stazione ferroviaria. Un tempo si sospettò che fossero state spedite a Ragusa, dove – accanto alla Chiesa Madre – si può ammirare uno splendido Monumento ai caduti di Turillo Sindoni.

I rapporti con la città natale furono compromessi da un altro episodio increscioso, che si verificò al circolo dei nobili: mentre stava entrando, fu fermato da un socio che gli disse che lui non poteva entrare, perché non era nobile. Lo scultore rispose che la sua nobiltà consisteva nell’arte che scorreva nelle sue vene.
Sapeva che a Barcellona aveva dei nemici. In una lettera al fratello esclama: “Crepino i miei invidiosi!” Non voleva che si sapesse nulla della sua malattia, “perché ne goderebbero quei quattro schifosi”. Oltre che di temperamento scontroso, era scherzosamente megalomane. Al fratello Peppino in una lettera promette una nomina onorifica: “Io mi interesserò coi miei autorevoli amici per farti nominare Cavaliere della Corona d’Italia” e aggiunge con facezia: “Io posso tutto”. Si inorgogliva quando annunziava al fratello la sua nomina a Presidente onorario della Accademia di Belle Arti in varie città d’America.
Con la città natale non ebbe un rapporto idillico, ma ovunque era ammirato sia per il suo talento, sia per il suo carattere arzillo. Un giornale romano del ventennio fascista lo definisce “simpatico maestro, sempre vivo di energia, vero gioviale porte bonneher …” Non rinnegò mai le sue origini ed ebbe una particolare simpatia per la Società Operaia, dove si racconta che per un breve periodo aveva insegnato nel dopolavoro. Apprezzava i prodotti tipici dell’agricoltura e dell’artigianato barcellonese. In una lettera raccomanda con dovizia di particolari che gli vengano fatte alcune spedizioni di vino pregiato (“quello dei Cattafi, che sono sicurissimo della bontà e genuinità, mentre a Roma è tutta scialappa, cioè misturato”). Prega anche che gli siano inviate arance di Barcellona, la ricotta salata fresca, olive salate grasse, ecc.
Non volle essere seppellito a Barcellona. Riposa nel cimitero del Verano a Roma. Per molti anni – accreditando l’espressione latina nemo propheta in patria - la città natale ha dimenticato questa sua gloria artistica. A Turillo Sindoni è stata intitolata soltanto una piccola via di circa 50 metri: è una traversa della via Madia, a valle dell’OPG, poco prima di giungere al Largo dell’Aia Scarpaci. La Pro Loco “Manganaro” lo ha ricordato nel 2001 in occasione del 60° anniversario della morte e nel 2008, 140° della nascita, con un convegno e una Mostra illustrativa della sua attività artistica. Nel 2018 una lapide, in ricordo del 150° della nascita, è stata collocata dalla Corda Fratres nella via San Paolino. Il pronipote Massimo Sindoni e Simone Cardullo hanno tracciato una biografia puntuale e rigorosa, con introduzione di Andrea Italiano.
Gino Trapani












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