“Sale e sangria”, la gioventù bruciata del duemila
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- 23 mag 2021
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 14 giu 2021
Pietro De Viola, pseudonimo di Pietro Bucca, nativo di Barcellona Pozzo di Gotto, da tempo trasferitosi a Milano, è l’autore del romanzo “Sale e sangrìa”, pubblicato da Oligo Editore nel febbraio 2021, a dieci anni di distanza dal primo “Alice senza niente” (una neolaureata in affannosa ricerca di lavoro).
Il racconto di oltre trecento pagine è una reinvenzione fantasiosa dell’Erasmus giovanile dell’autore, che mette a nudo una variegata geografia dell’anima sullo sfondo dell’anticonformismo del nostro tempo.
Dal protagonista Michele in prima persona è raccontata - con autoironia e confessando incertezze ed errori - la sua esperienza di studente universitario siciliano in Spagna, a Barcellona, città che non dorme mai, in uno stage di sei mesi con l’Erasmus.
Egli – scrivendo cinque anni dopo - premette che “mutare il cielo fu l’unica cosa che mi salvò”, perché quel viaggio gli ha consentito di sanare l’animo ammalato. Con atteggiamento irriverente dichiara di non condividere quanto aveva scritto Seneca, il quale in una delle Epistulae ad Lucilium aveva sostenuto il contrario, cioè che “è inutile mutare il cielo, se l’animo è ammalato”. Per questo al celebre scrittore latino egli manda mentalmente un vaffanc…, che è una delle numerose espressioni popolari (ma dove minchia vado, brodo di zizzole, brodino mielato, perfezionista di merda, porca zozza, …), che sin dalle prime pagine incorniciano la scrittura, caratterizzata da un plurilinguismo, ricco di parole quotidiane, che dipingono una prosaica realtà, un reale aggrovigliato con situazioni anche erotiche ai limiti della decenza. Al livello basso è alternata una terminologia ricercata, con parole anche straniere (fiss, flute, de la tarde, feeling, outing, compagnero de piso …). La varietà di stile comprende anche la scrittura del blog.
Nella narrazione oggettiva sono inseriti in maniera originale frammenti di pensieri del personaggio, una registrazione diretta di contenuti della mente, colti nel loro farsi immediato, alternati ad associazioni libere e commenti posteriori, che consentono al lettore di penetrare dentro la mente del personaggio.
Più che un viaggio fisico la prima esperienza internazionale di Michele è un nomadismo mentale, formativo di una personalità che esce dagli schemi, al punto che Emanuela E. Abbadessa lo ha paragonato al giovane Holden di Salinger. Come lui è un erotomane; con la fantasia, è il più grande maniaco sessuale, capace di immaginare di fare vere sconcezze o di comportarsi da emerito bastardo.
Appassionato di chitarra, del suo passato ricorda di essere stato uno dei due membri della defunta Sinistra giovanile di Novara di Sicilia e di avere manifestato a favore dei diritti umani delle minoranze, in particolare dei gay.
Egli si definisce aspirante viveur, ammette la sacrosanta verità: riconosce, cioè, di essere un porco, perché a Barcellona è andato per copulare. Appartiene alla generazione che nei primi anni del duemila ama la musica e la poesia. Ha l’impudenza di voler essere considerato dai suoi amici di Novara di Sicilia sempre un latin lover, ma dialoga con la sua coscienza e ironizza sul manuale di seduzione siculo.
Barcellona gli appare come il centro di un mondo gradevole, con le sue ramblas, le feste universitarie, la vita notturna, le occasioni di incontri anche amorosi con donne disinibite. Studenti e studentesse vengono ospitati (negli isolati della Vila Universitaria, prima costruiti per ospitare gli atleti delle Olimpiadi del 1992) in miniappartamenti a due o tre posti, che essi si scambiano tra loro, trasformandoli in luoghi dove si consumano anche scene erotiche. Michele cerca di non lasciarsi sfuggire ogni occasione per fare sesso, che per lui è il bene supremo, l’unica autentica chiave che abbiamo, in grado di girare nella toppa della mente di Dio.
Sua prima aspirazione (dati i chili che si porta addosso a mo’ di pelliccia pesante) è perdere peso, smettere di mangiare, o farlo poche volte la settimana. La magrezza ritrovata lo rende elastico nei movimenti e veloce nel pensiero. Grosse fette di iperattivismo (prima compresse dal grasso in eccesso) ora possono agire libere e spingerlo verso nuovi e mai provati esercizi.
L’idillio di Michele con Viola, una giovane bilingue franco italiana che lo ospita in casa sua, fa esplodere in lui – egli pensa - l’eterna lotta tra il primo me (trionfante, che si è scopata la francesuccia) e il secondo me (che quasi quasi le chiedeva di sposarlo), tra lo stronzo e il disperato.
Intorno a Michele lo scrittore costruisce altri personaggi, che compongono un mondo complesso in una società che corre e nella quale i giovani desiderano una realtà diversa, più libera e con ritmi di vita in continua alternanza di cose insignificanti e prospettive importanti.
Le stravaganze tra i giovani di tutta Europa presenti a Barcellona (tra cui sono numerosi los italianos) giungono al punto che quattro inglesi propongono a Michele una scommessa che egli accetta: in cambio di due biglietti da cento euro si spoglia, consegna loro mutande e pantaloni e si presenta nudo alle tre di notte davanti alla porta di una donna, con la quale concorda di darle cinquanta euro per evitare che lei lo denunzi alla sicurezza (che lo espellerebbe dalla Vila Universitaria), mentre i giovani si divertono alle sue spalle.
Nella festa per il suo venticinquesimo compleanno, che si svolge in casa di un amico, Michele prepara per gli invitati una speciale sangrìa, la cui ricetta ha appreso da due amiche messicane, che - in aggiunta al misto di mele, arance, pere, ananas, vino rosso, rum e un pacco di zucchero – ha un ingrediente segreto, un cucchiaino di sale, che rappresenta la dimensione saggia, apollinea, indispensabile per potere godere del proprio squilibrio, di tutto ciò che di dionisiaco può esserci nella vita: la parte folle, la perdita di remore e di freni, il riso. Ma alla fine della nottata in cui si commettono anche atti impuri senza traccia di egoismi, il giovane non può fare a meno di riflettere che la gioventù terminerà e che ci sarà da pagare il conto, tenendo presente che nella società liquida il parametro delle relazioni sarà il denaro del fondo cassa, che ciascuno sarà capace di procurarsi.
Oltre a suonare la chitarra, a scopare e a imparare le lingue (un po’ di inglese e di francese, oltre lo spagnolo e il catalano degli indipendentisti, che reclamano l’indipendenza da Madrid), al centro del racconto c’è l’impegno di Michele a intervistare l’ex stampatore anarchico Celestino Flores (che vive in una casa di riposo per anziani), per scrivere una tesina di venti pagine su “La Barcellona della resistenza anarchica negli anni del franchismo”, che gli consentirà di superare l’esame di storia contemporanea del professore Reus. Dopo vari incontri infruttuosi - in cui gli parla non della sua attività segreta di antifranchista, ma di amori fugaci e di altre sue esperienze di vita - l’anarchico gli scrive una lettera in cui trasmette un pezzettino di tutta la sua sofferenza. Riferisce che nel 1938, quando egli era ancora bambino, suo padre – anch’egli anarchico - era morto durante la guerra civile. Egli nel 1951 fu tra gli organizzatori del primo sciopero nella Barcellona di Franco. Ha passato una vita di stenti, privazioni e pugni in bocca, i cui dettagli non vuole raccontare. Accenna ai fascismi mai sconfitti e conclude domandandosi: per che cosa abbiamo sofferto noi? Per garantire le falsità della società tecnocratica e alienante? Secondo lui non basta definire il franchismo un’epoca di merda. Augura a Michele – dopo essere tornato in Italia – di non fare la fine delle vacche che vengono spinte nel macello.
Quelle parole aiuteranno Michele a saper distinguere - da allora in poi - tra essere libero e no. Al vecchio Celestino lo unisce la stessa sensazione di morte, il medesimo incanto della gente del sud.
Nelle ultime settimane dell’Erasmus il giovane è messo alla prova dall’amore di Viola, che egli non riesce a comprendere, tanto che partecipa con la disinibita Chiara ad un concerto degli U2, nel Nou Campu, in una serata che si trasforma in un’orgia di droga e di sesso.
La gioventù si perde, senza rendersi conto di che cosa sia l’amore. Michele e Viola si lasciano.
In un intreccio originale di fatti e reazioni emotive (che non tutti si possono raccontare), Viola si macera nella sua solitudine, mentre Michele al suo rientro in Italia si inserisce nell’ingranaggio che gli consente di trovare un lavoro, ma si sente omologato nella società falsa della comunicazione virtuale e incapace di sollevarsi dalle secche volgari di desideri di beni ingannevoli. Solo dopo un salto di cinque anni, grazie ad uno stratagemma del vecchio Celestino, Michele e Viola si rivedono e il romanzo rimane aperto ad un nuovo capitolo della loro esistenza. (g. t.)
Gino Trapani
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