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“Quel che resta di Dio” di Emilio Isgrò


Se il seme non c’è più, non c’è più vita. / Se il seme è ancora qui, non c’è più morte. / Ed è tra morte e vita, carne e siero / che cresce e si moltiplica infedele / il seme, il polline, la siccità. // Addio rotte di sangue, addio mondo di sale. / Ridere non è più un reato in questa / terra, sorridere non è più una guerra / da combattere contro i numeri. / Ma un puro desiderare, un cantico. // Riprendi in mano il vecchio libro agrario. / Spalanca la memoria, seme mediterraneo. // Perché si ricomincia, nunc et semper, / da un seme impercettibile, incombente. / Un germe stupido d’arancio amaro. / Un chicco microscopico, spelato. // Apri le stanze, strappa la finestra, / Grande Meridione inacidito. // Perché si parte da una strage bianca / di migranti che cantano sul mare. / Perché si viene da una strada nera / di anime scomposte dalla fame. / Da una luce tentennante e miope / che nel passato secolo non c’era. / Questo è un seme d’arancia. Questo è Dio.

Gino Trapani


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