“Quel che resta di Dio” di Emilio Isgrò
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- 15 mag 2020
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La poesia di Emilio Isgrò – come la cancellatura - nasce per smascherare gli equivoci e le banalità della comunicazione; la parola - segno rinvia alle oscillazioni tra semplificazione e complessità, verità e menzogna, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo e ciò che vorremmo essere.
Pubblicato poco prima dell’esplosione del coronavirus, l’ultimo libro di poesia dell’artista poeta barcellonese (che nella copertina reca una sua opera grafica del 1994, intitolata “Il nome di Dio”) traccia un bilancio su ciò che resta di una realtà a brandelli, dopo la omologazione culturale e la distruzione ambientale degli ultimi decenni. Le poesie sono state scritte dal 1980 in poi, rimaneggiate o rifatte negli ultimi tempi.
“Quel che resta di Dio” è suddiviso in nove sezioni: Quel che resta della carne, Quel che resta del dopoguerra, Quel che resta dell’arte, Quel che resta dell’America (delle merci), Quel che resta dei lupi, Quel che resta degli Isgrò, Quel che resta dell’amore, Quel che resta dell’amore senza gli alberi, Quel che resta del Mediterraneo (degli annegati). Alcuni versi sembrano alludere ad uno spazio sacrale, pur non essendo nella possibilità dell’uomo di conoscere Dio, ma solo di nominarlo (nomina nuda tenemus).
Il poeta riprende ciò che rimane di solidale (ed è ben poco) nel vivere sociale, nell’amicizia, nella cultura, nell’arte. Nonostante abbia sempre dichiarato di essere disimpegnato, Isgrò propende per un’arte civile. Il suo atteggiamento è moderato e talvolta amaro, non emette rimproveri o condanne. Egli indica il pericolo della disumanizzazione dei rapporti in tutto il mondo, se non si pone rimedio alla onnipotenza della finanza, alla americanizzazione della cultura, all’amore degenerato, al dramma dei morti nel Mediterraneo, alla distruzione dell’ambiente, alla spettacolarizzazione mediatica.
Introduce il riferimento ad un’ipotesi di rinascita, legata al pensiero meridiano, a cui anche la Sicilia (il seme mediterraneo) può dare un contributo, auspicando un patto globale, che deve garantire la difesa delle identità minori dei popoli della terra e salvaguardare una dignitosa sopravvivenza dell’umanità nel pianeta.
Gino Trapani
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