Il tesoro dei monaci basiliani, nascosto presso la chiesa di S. Elia a S. Paolo
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- 31 lug 2020
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Alla base delle leggende sulle truvature ci sono simbologie, delle quali spesso si è perso il significato; ma talvolta i racconti sono legati a fatti realmente accaduti. In un documento del 1489 (conservato in una Miscellanea nella Biblioteca comunale di Palermo) si trova la notizia che l’Abbate commendatario del Monastero basiliano della Madonna del latte (Galaktotrofousa) di Gala, Antonio De Lignamine, chiese al vicerè del tempo D’Acugna l’autorizzazione a cercare un tesoro, nascosto nei dintorni della chiesa di S. Elia in S. Paolo, grangia dipendente dal Monastero di Gala, il quale – rifondato nel 1105 con Diploma di Adelaide - svolgeva un ruolo di primo piano nell’Archimandritato di Messina. L’Abbate (che nel 1514 diventò vescovo di Messina) aveva letto in documenti greci (tradotti in latino) che in passato era stata nascosta una campana con tutti i beni d’oro e d’argento del Monastero, che i monaci - per evitare che venissero trafugati - avevano interrato in un luogo non identificato. Ciò (di cui si era persa la memoria) probabilmente era avvenuto durante le scorrerie degli Angioini nella lunga guerra del Vespro, iniziata nel 1282.
Il documento di risposta alla richiesta dell’Abbate De Lignamine – oltre per i particolari storici - è interessante anche sotto il profilo linguistico, perché attesta la qualità del linguaggio burocratico allora in uso, infarcito di termini latini e siciliani solo in parte italianizzati. Il vicerè D’Acugna rispose con queste parole: “…Secundo ni haviti infurmatu, aviti fatto noviter traduciri de Greco in Latinum certi privilegii di retroprincipi, concessi a lo dicto Monasterio et alcuni testamenti … per li quali privilegii e testamenti appari fatta menzioni certi Venerabili Abbati - metu guerrae allura esistenti in hoc Regno - aviri occultatu campani, calichi, reliquii di Santi et diversi autri gioii et ornamenti di la Ecclesia et Monasterio preditto e poi interratu intra la Ecclesia di Santo Elia, grangia de lo dicto Monasterio. Pertanto, vulendo vui li ditti cosi inquiriri pro beneficio et ornamento dicti Monasterii, vorrissivo cum nostra licentia putirilo fari, supplicandunni qu’illa ni piacissi concediri.
Alla quali supplicazioni .. vi damu licentia et facultati di putiri vui fari cavari, inquiriri et circari li ditti gioii asconditi, tanto in la ditta grangia quanto in qualsivoglia loco intra lo ditto Monasterio …. E truvandosi li ditti campani, calichi e qualsivoglia autri gioii et ornamenti .. siano di lu ditto Monasterio et Ecclesia di S. Maria di Gala, di cui foru ..”
Dunque il vicerè concesse licenza e facoltà di ricercare gioii e ornamenti nascosti, che – una volta ritrovati - sarebbero stati di diritto di proprietà del Monastero basiliano di Gala, il quale continuò ad avere un ruolo culturale nel territorio della provincia di Messina per vari secoli, fino a quando i monaci alla fine del 1700 decisero di trasferirsi a Barcellona nell’edificio, che oggi rimane in attesa di essere restaurato, dopo essere stato sede del Liceo classico e della Pretura e dopo avere subito furti e danneggiamenti da parte di vandali. Non è dato sapere come andò a finire lo scavo. Tuttavia c’è da ritenere che il racconto del fatto abbia contribuito a diffondere nel territorio le leggende sulle truvature.
Gino Trapani
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