Il centenario della nascita di Leonardo Sciascia
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- 24 gen 2021
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L’eredità dispersa di un intellettuale “disorganico”
Leonardo Sciascia si è distinto per la onestà intellettuale e per la rettitudine civile, che hanno caratterizzato la sua scrittura letteraria, in stretta coerenza con le sue scelte di vita, per le quali è stato definito un eretico, anche nei confronti del suo credo politico di sinistra, che lo indusse persino a rompere con Renato Guttuso.
Secondo Sciascia sulla classe politica degli anni settanta ricadeva la responsabilità di aver fatto sprofondare l’Italia in una condizione di irrazionale ingovernabilità.
Nel romanzo “Candido, ovvero un sogno fatto in Sicilia”, scritto nel 1977, lo scrittore siciliano ripercorre le cocenti e amare delusioni del suo rapporto di intellettuale “disorganico” con il mondo politico. Prendendo spunto dal “Candide, ou l’optimisme” di Voltaire, egli propone un apologo che ha come bersaglio il sistema di potere con le sue mistificazioni e ambiguità. Nella mostruosa ingenuità del protagonista Candido Sciascia incarna una generazione di giovani senza padri e senza maestri, che hanno perso ogni ideologica prospettiva di un futuro di progresso e di felicità.
Egli riprende in termini di attualità l’espressione metaforica “Il faut cultiver notre jardin” con cui Il filosofo francese – dopo aver dimostrato il fallimento di tutte le teorie politiche assolutistiche – aveva proposto ai suoi amici e lettori di dedicarsi all’opera di diffusione dei “lumi”, nella prospettiva di un miglioramento culturale della società civile, contro le strumentalizzazioni della politica attiva.
Il maestro di Regalpetra ci ha lasciato in eredità un grande messaggio di coerenza, che nasce dalla sua fede incondizionata nel modo di fare letteratura, cioè metaforizzare la realtà, smascherare le menzogne e disvelare la verità, puntando in particolare sulla memoria, per costruire una controstoria letteraria e civile. Egli considera le lettere come un hortus, un giardino, in cui idealmente si incontrano gli eretici di tutte le nazioni e di tutti i tempi con l’intento di contribuire a costruire una società sostenibile a misura d’uomo.
Sciascia si è assunto tale compito, proponendo nelle sue numerose opere (che sarebbe troppo lungo citare) la Sicilia come metafora dello spirito del mondo e come pietra di paragone della mancata modernizzazione e democratizzazione dell’intero nostro paese. Egli ha usato una lingua snella ed essenziale, orientata verso l’alto della tradizione letteraria, senza trascurare l’importanza delle espressioni dialettali tradizionali.
Nei suoi scritti – che un tempo facevano opinione - egli ci invita a superare il pessimismo della ragione, contrapponendo al negativo, che dilaga nel mondo, la creatività e lo spirito critico come strumenti indispensabili per fare chiarezza e operare per una società in cui, invece dell’odio e della paura, prevalgano le pulsioni positive di socievolezza e di empatia.
Purtroppo molti cittadini ignorano l’eredità di tale messaggio, o non sanno riconoscere in Sciascia e nella sua opera un punto di riferimento esemplare. L’ingovernabilità domina oggi nella vita politica italiana e sono pochi gli intellettuali che accettano di confrontarsi con i politicanti, perché il dibattito pubblico è diventato un teatrino degli urlatori che strillano meglio. Nella società aumenta l’imbarbarimento tra la popolazione (gran parte della quale si fa abbindolare dalle bufale della comunicazione virtuale) e imperversano i sovranisti e i populisti, sulle orme di un trampismo velenoso, rabbioso e razzista, un virus - non meno grave del nazifascismo - che si diffonde puntando alla pancia della gente comune e mirando a trasformare richieste legittime in proteste violente.
Gino Trapani


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