Giovanni Paolo II “semplicemente Santo”
- Amministratore
- 18 mag 2020
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 20 mag 2020
È un ricordo in diapositive color seppia, smussato da pennellate
oniriche. C’era la luce di un televisore acceso. Sentivo voci esultati
“È bianco! È bianco!”. Appena bambina, incuriosita, sgambettai veloce
nel salone davanti alla tv. Vidi uno scorcio di cielo e un rivolo di
fumo bianco uscire copioso da un alto comignolo. Udii lo strepitio
della folla quasi soffocare la voce emozionata del telecronista. Poi
fu il silenzio e l’eco dell’annuncio atteso. Sul balcone imporporato
apparve quel viso sorridente e fu subito chiaro che “quell’uomo venuto
da lontano” sarebbe stato un grande papa: il papa delle rivoluzioni
d’amore, il papa-fratello che l’umanità aspettava! Era il 1978. Un
anno difficile e travagliato, ancora sanguinante per le ferite del
tumultuoso ’68, martoriato dagli atti terroristici. Era l’anno delle
brigate rosse, del sequestro e dell’uccisione di Aldo Moro, l’anno dei
gesti estremi delle femministe, l’anno dei tre papi.
Una prova difficile per quel giovane papa (58 anni) che, durante
la messa d’insediamento, pronunciando quelle semplici parole “Non
abbiate paura, spalancate le porte a Cristo!”, irruppe con forza sulla
scena religiosa, spazzando quell’alone polveroso di secolarizzazione
che impregnava la cristianità occidentale. La fede vacillava
pericolosamente, i giovani si erano allontanati da Dio, le chiese si
erano svuotate come la coscienza di molti… ma quel “non abbiate paura”
risuonò come uno squillo di tromba! Si apriva ora una nova fase per
l’umanità: quella del ritorno a Cristo. I suoi ventisette anni di
pontificato sono stati scanditi dalla forza diretta della sua
passione. Fu un uomo forte. La roccia cui ancorarsi durante la
tempesta. Molti i sui viaggi per andare incontro ai fedeli
sull’esempio degli apostoli: “Non posso aspettare che vengano a Roma,
andrò io incontro a loro”. Incarnando il vero spirito della
cristianità di fece missionario, pellegrino al servizio del prossimo.
Ovunque andasse lo attendeva un bagno di folla senza pari. Centinaia
di migliaia accorrevano a lui, radunandosi ovunque e, laddove non
arrivava l’eco delle sue parole, i fedeli rimanevano per tutto il
tempo inginocchiati in silenzio a pregare. Come osservato dal
cardinale Josè S. Martins, la sua missione fu “in difesa della dignità
umana, perché Giovanni Paolo II è stato un papa profondamente umano, e
per questo Santo. Tra santità e umanità esiste, infatti, un vincolo
inseparabile”. Palpitano ancora ovunque i suo “sì” a Dio e i suoi
“no”, irremovibili e duri, come quel “non uccidere in nome di Dio”
rivolto a tutte le genti e a tutte le religioni, perché si scelga
sempre la strada del dialogo e dell’amore. Nella nostra terra risuona
ancora l’eco delle sue sferzanti parole contro gli atti riprovevoli
della mafia: “Non uccidere! Nel Nome di questo Cristo, Via, Verità e
Vita, lo dico ai responsabili: Convertitevi! Una volta verrà il
Giudizio di Dio!”
Amava i grandi spazi verdi e le alte vette, i boschi in cui
naufragava dolcemente con il suo incedere leggero, le mani giunte
dietro la schiena, il bastone di montagna come un sacro antico
pastorale. Rideva di gusto e si lasciava rapire dalla maestosità
divina del creato, scoperta nella semplicità delle piccole cose.
Nostalgico ricordava i luoghi della sua infanzia. Amava la sua
patria, ma era profondamente legato anche all’Italia, a Roma che,
come sottolineava, letta al contrario diventa “amor”, città che
contemplava ogni sera dalla sua finestra, benedicendo la capitale e il
mondo intero. “Siete le sentinelle del mattino”, esclamò alla folla di
giovani radunata in Tor Vergata nel 2000. Lui che fu il papa dei
giovani, fattosi giovane per stare in mezzo ai giovani. Quante
conversioni, quante scelte sacerdotali maturavano dopo ogni incontro
delle GMG. Educava all’amore, alla sana felicità trovata da moltissimi
giovani che, deponendo a terra il loro zaino, si sono scaricati
dell’angoscia e dell’inquietudine, lasciandosi condurre sulla via di
Cristo da Giovanni Paolo II. Come dimenticare quell’immagine in cui il
santo padre roteava felice il bastone al ritmo della musica di fronte
alla moltitudine dei suoi papaboys.
Karol un uomo indimenticabile: poeta, scrittore, filosofo,
sacerdote, vescovo, pontefice, beato e santo! Un uomo venuto da
lontano, segnato come Cristo nel corpo e nello spirito da indicibili
sofferenze, dagli orrori del nazismo che gli fecero urlare “Mai più la
guerra!”, ai dolori della sua terribile malattia. La Pasqua del 2005
ci mostrò un papa ghermito dalla malattia, privato da essa dal
compiere persino i gesti più semplici. Le sue labbra che si agitavano
mute, cercando di formulare parole di benedizione straziarono il cuore
e l’anima. Portato nuovamente dentro la stanza disse a stento “Se io
non posso celebrare, se io non posso stare con la gente, allora è
meglio che io vada via…” e poi dopo un sofferto sospiro aggiunse “…
totus tuus”, abbandonando la vita mentre dalla finestra giungeva l’eco
urlato e disperato dei papaboys “Giovanni Paolo!” In quel “totus tuus”
l’abbandona totale a Maria, madre Cristo, nella sua immensa devozione
mariana. Lui il figlio che si affida alla madre! Come dimenticare
l’amicizia con suor Lucia, il viaggio a Fatima per la beatificazione
di Giacinta e Francesco e quel proiettile che fece incastonare sulla
coroncina della piccola statua della Vergine. E, ancora, il fugace
incontro nel 1948 con frà Pio da Pietrelcina che, sicuramente colse in
lui il seme di quel futuro pontefice e santo. Uomo della sofferenza
visitò gli ammalati, unito in questo a Madre Teresa di Calcutta, che
stimava maestra di vita e testimone del vangelo.
Un altro ricordo si affaccia nella mia mente quello di una
semplice bara di legno in cui riposano i resti umani del nostro amato
Karol, e quel vangelo posato su di essa le cui pagine erano sfogliate
dal vento. In quei giorni di profonda commozione, guardando quella
bara, ero certa che Giovanni Paolo II procedesse felice, nel suo abito
bianco, negli sconfinati spazi celesti, con le mani giunte dietro la
schiena intento a chiacchierare con quella piccola grande suora, Madre
Teresa, che tante volte su questa terra prese per mano. E oggi lo
immagino così nell’alto di quel cielo verso cui tendeva quando su
questa terra scalava l’immensità delle vette innevate. Lo vedo lì
affacciato dal suo balcone di nuvole, benedirci in questo difficile
momento di inquietudine che attanaglia il mondo, mentre con la forza
delle sue parole ci incoraggia ancora una volta con il suo “Non
abbiate paura!”.
Francesca Romeo
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