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Giovanni Paolo II “semplicemente Santo”

Aggiornamento: 20 mag 2020

È un ricordo in diapositive color seppia, smussato da pennellate

oniriche. C’era la luce di un televisore acceso. Sentivo voci esultati

“È bianco! È bianco!”. Appena bambina, incuriosita, sgambettai veloce

nel salone davanti alla tv. Vidi uno scorcio di cielo e un rivolo di

fumo bianco uscire copioso da un alto comignolo. Udii lo strepitio

della folla quasi soffocare la voce emozionata del telecronista. Poi

fu il silenzio e l’eco dell’annuncio atteso. Sul balcone imporporato

apparve quel viso sorridente e fu subito chiaro che “quell’uomo venuto

da lontano” sarebbe stato un grande papa: il papa delle rivoluzioni

d’amore, il papa-fratello che l’umanità aspettava! Era il 1978. Un

anno difficile e travagliato, ancora sanguinante per le ferite del

tumultuoso ’68, martoriato dagli atti terroristici. Era l’anno delle

brigate rosse, del sequestro e dell’uccisione di Aldo Moro, l’anno dei

gesti estremi delle femministe, l’anno dei tre papi.


     Una prova difficile per quel giovane papa (58 anni) che, durante

la messa d’insediamento, pronunciando quelle semplici parole “Non

abbiate paura, spalancate le porte a Cristo!”, irruppe con forza sulla

scena religiosa, spazzando quell’alone polveroso di secolarizzazione

che impregnava la cristianità occidentale. La fede vacillava

pericolosamente, i giovani si erano allontanati da Dio, le chiese si

erano svuotate come la coscienza di molti… ma quel “non abbiate paura”

risuonò come uno squillo di tromba! Si apriva ora una nova fase per

l’umanità: quella del ritorno a Cristo. I suoi ventisette anni di

pontificato sono stati scanditi dalla forza diretta della sua

passione. Fu un uomo forte. La roccia cui ancorarsi durante la

tempesta. Molti i sui viaggi per andare incontro ai fedeli

sull’esempio degli apostoli: “Non posso aspettare che vengano a Roma,

andrò io incontro a loro”. Incarnando il vero spirito della

cristianità di fece missionario, pellegrino al servizio del prossimo.

Ovunque andasse lo attendeva un bagno di folla senza pari. Centinaia

di migliaia accorrevano a lui, radunandosi ovunque e, laddove non

arrivava l’eco delle sue parole, i fedeli rimanevano per tutto il

tempo inginocchiati in silenzio a pregare. Come osservato dal

cardinale Josè S. Martins, la sua missione fu “in difesa della dignità

umana, perché Giovanni Paolo II è stato un papa profondamente umano, e

per questo Santo. Tra santità e umanità esiste, infatti, un vincolo

inseparabile”. Palpitano ancora ovunque i suo “sì” a Dio  e i suoi

“no”, irremovibili e duri, come quel “non uccidere in nome di Dio”

rivolto a tutte le genti e a tutte le religioni, perché si scelga

sempre la strada del dialogo e dell’amore. Nella nostra terra risuona

ancora l’eco delle sue sferzanti parole contro gli atti riprovevoli

della mafia: “Non uccidere! Nel Nome di questo Cristo, Via, Verità e

Vita, lo dico ai responsabili: Convertitevi! Una volta verrà il

Giudizio di Dio!”


     Amava i grandi spazi verdi e le alte vette, i boschi in cui

naufragava dolcemente con il suo incedere leggero, le mani giunte

dietro la schiena, il bastone di montagna come un sacro antico

pastorale. Rideva di gusto e si lasciava rapire dalla maestosità

divina del creato, scoperta nella semplicità delle piccole cose.

Nostalgico ricordava i  luoghi della sua infanzia. Amava la sua

patria,  ma era profondamente legato anche all’Italia, a Roma che,

come sottolineava, letta al contrario diventa “amor”, città che

contemplava ogni sera dalla sua finestra, benedicendo la capitale e il

mondo intero. “Siete le sentinelle del mattino”, esclamò alla folla di

giovani radunata in Tor Vergata nel 2000.  Lui che fu il papa dei

giovani, fattosi giovane per stare in mezzo ai giovani. Quante

conversioni, quante scelte sacerdotali maturavano dopo ogni incontro

delle GMG. Educava all’amore, alla sana felicità trovata da moltissimi

giovani che, deponendo a terra il loro zaino, si sono scaricati

dell’angoscia e dell’inquietudine, lasciandosi condurre sulla via di

Cristo da Giovanni Paolo II. Come dimenticare quell’immagine in cui il

santo padre roteava felice il bastone al ritmo della musica di fronte

alla moltitudine dei suoi papaboys.


     Karol un uomo indimenticabile: poeta, scrittore, filosofo,

sacerdote, vescovo, pontefice, beato e santo! Un uomo venuto da

lontano, segnato come Cristo nel corpo e nello spirito da indicibili

sofferenze, dagli orrori del nazismo che gli fecero urlare “Mai più la

guerra!”, ai dolori della sua terribile malattia. La Pasqua del 2005

ci mostrò un papa ghermito dalla malattia, privato da essa dal

compiere persino i gesti più semplici. Le sue labbra che si agitavano

mute, cercando di formulare parole di benedizione straziarono il cuore

e l’anima. Portato nuovamente dentro la stanza disse a stento “Se io

non posso celebrare, se io non posso stare con la gente, allora è

meglio che io vada via…” e poi dopo un sofferto sospiro aggiunse “…

totus tuus”, abbandonando la vita mentre dalla finestra giungeva l’eco

urlato e disperato dei papaboys “Giovanni Paolo!” In quel “totus tuus”

l’abbandona totale a Maria, madre Cristo, nella sua immensa devozione

mariana. Lui il figlio che si affida alla madre! Come dimenticare

l’amicizia con suor Lucia, il viaggio a Fatima per la beatificazione

di Giacinta e Francesco e quel proiettile che fece incastonare sulla

coroncina della piccola statua della Vergine. E, ancora, il fugace

incontro nel 1948 con frà Pio da Pietrelcina che, sicuramente colse in

lui il seme di quel futuro pontefice e santo. Uomo della sofferenza

visitò gli ammalati, unito in questo a Madre Teresa di Calcutta, che

stimava maestra di vita e testimone del vangelo.


     Un altro ricordo si affaccia nella mia mente quello di una

semplice bara di legno in cui riposano i resti umani del nostro amato

Karol, e quel vangelo posato su di essa le cui pagine erano sfogliate

dal vento. In quei giorni di profonda commozione, guardando quella

bara, ero certa che Giovanni Paolo II procedesse felice, nel suo abito

bianco, negli sconfinati spazi celesti, con le mani giunte dietro la

schiena intento a chiacchierare con quella piccola grande suora, Madre

Teresa, che tante volte su questa terra prese per mano. E oggi lo

immagino così nell’alto di quel cielo verso cui tendeva quando su

questa terra scalava l’immensità delle vette innevate. Lo vedo lì

affacciato dal suo balcone di nuvole, benedirci in questo difficile

momento di inquietudine che attanaglia il mondo, mentre con la forza

delle sue parole ci incoraggia ancora una volta con il suo “Non

abbiate paura!”.


Francesca Romeo

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