Dopo l'Allegria
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- 11 gen 2021
- Tempo di lettura: 3 min
DOPO L’ALLEGRIA
Viaggio mentale e dimensione planetaria
“Resta il poeta dopo l’allegria / il poeta che visse solitario / raccoglie i suoi canti / per animare il mondo che gli resta / salvare dai naufragi la memoria / superstite nel gioco della sera”. E’ il componimento di apertura della raccolta poetica di Melo Freni “Dopo l’allegria”, costruito con lessemi ungarettiani e permeato di echi quasimodiani. Pubblicata nel 2000 la raccolta si caratterizza per essenzialità e sincerità del dettato. Essa è ricca di riferimenti intertestuali e citazioni dotte e rivela il gusto del plurilinguismo, aspetti tipici del postmoderno, verso il quale, a mio avviso, Freni ha un rapporto ambivalente e non di totale dissenso (in ciò non condivido quanto afferma Evghenj Solonovic, che ha curato la prefazione).
Singolare è l’inserimento nella raccolta di componimenti in dialetto siciliano, che per Freni non è relitto di un universo scomparso, ma è lingua viva. Modernizzando e rielaborando il dialetto nativo attraverso l’uso di figure retoriche di suono e di significato, Freni sfida la globalizzazione culturale con un massimo di localizzazione, dimostrando che anche nel dialetto valgono le stesse regole – o antiregole – che si usano nella lingua italiana.
Freni rivendica anche nel terzo millennio una centralità del ruolo della poesia. I canti del poeta, rievocando l’allegria “sepolta nella casa dell’infanzia”, aiutano a dare un senso alla vita moderna, minacciata nei valori tradizionali più alti.
Il richiamo a Ungaretti e a Quasimodo non equivale a riproporre un ritorno all’ermetismo. Piuttosto Freni usa gli elementi retorici del neosimbolismo ermetico in senso antifrastico, cioè per operarne un capovolgimento, a volte ironico o parodistico. Spesso il poeta mescola le analogie di sapore ungarettiano con la concretezza della cronaca e introduce con discrezione elementi che tendono a rompere l’assolutezza del linguaggio poetico. Il lirismo cede allora all’allegoria, con la quale viene smascherata la disumanizzazione della civiltà liquida, che travolge la serenità degli affetti familiari e della vita quotidiana.
Quella di “Dopo l’allegria” è una poesia aperta al dialogo con il lettore, popolata di oggetti e di eventi, segni della comunicazione che non smarrisce il senso delle cose, anche quando la vita sanguina per le ferite inferte all’uomo dalla storia o per quelle più sottili degli inganni della mente.
Un posto importante occupa nella raccolta la Sicilia, riplasmata con il supporto della doppia o molteplice “vista”: infatti al paesaggio del cuore e della memoria del poeta si accompagnano le immagini delle memorie letterarie. Lo Stretto di Messina, ad esempio, viene proposto sia come lo immagina Freni (luogo in cui natura, mito e storia si incontrano), sia come lo videro gli occhi del poeta arabo siciliano Hamdis, o come lo ritrassero i colori di Antonello, o attraverso le parole ricche di impegno di Elio Vittorini, o la magia del linguaggio originale di Stefano D’Arrigo.
Nella raccolta lo spazio e il tempo non sono soltanto quelli della Sicilia. Essi vengono dilatati in una dimensione planetaria: spunti per le composizioni poetiche offrono continuamente gli eventi, le occasioni, gli incontri culturali, che il Freni giornalista, scrittore e regista ha vissuto in tutti i continenti, in Cina, negli Stati Uniti, in Svezia, in Egitto o in Russia, oltre che in Italia.
Quindi la raccolta si può leggere come un viaggio, che trascende limiti spaziali e temporali, per trasfigurarsi in viaggio mentale, il quale – nonostante l’immersione nella materialità del mondo contemporaneo – si rivela come cammino verso la salvezza cristiana.
Gino Trapani
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