Cattafi poeta marinaio
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- 13 mar 2021
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Bartolo Cattafi, da giovane giramondo, raffigurò se stesso come un marinaio, il quale – in fuga dalla propria terra natale (“Abbandona la sabbia siciliana / la musica e il miele degli arabi e dei greci” – L ’agave) - guarda la realtà a bordo di una imbarcazione, fa le sue esperienze di vita e poi ritorna a meditare e nello stesso tempo ad andare per il mondo, in un viaggio la cui fine coincide con un nuovo inizio. Poeta nomade mediterraneo, Cattafi coglie nei suoi versi il senso di precarietà del nostro rapporto con il reale: “tutto apparve concorde con un giro / centripeto di vortice / un senso precipite d’abisso”. In uno stile tra classico e moderno egli raffigura l’isola individuo e l’isola mondo, che le onde del mare inseriscono in un flusso universale. Le isole hanno un fascino che ammalia il cuore; ma – al pari della seduzione delle mitiche sirene - è un’attrazione falsa, da cui bisogna fuggire, come fa Ulisse, per evitare di farsi ingannare dalla trappola dei sentimentalismi (“scappa, metti ali ai piedi / tappi di cera agli orecchi” – Baedeker). Lo scopo delle isole è fare cadere in tentazione, come scrive nella lirica Timoniere: “Quindi andai da lui e gli dissi: / Ti prego, accosta a dritta / è quello l’arcipelago del cuore. / Mi guardò e sorrise, / mi diede un colpo sulla spalla / invertì come un fulmine la rotta / e fuggimmo agli antipodi dell’isole / mettendo nelle vele molto vento. / Aveva al timone mani salde / occhi acuti per tutto / isole, scogli, cuori. / Comunque ero caduto in tentazione. / Era questo lo scopo delle isole”.
In Cattafi manca l’utopica speranza in una rinascita del Mezzogiorno da contrapporre alla mercificazione della società liquida. Tuttavia egli recupera la componente della sicilianità e rivolge ai siciliani l’invito alla memoria e alla meditazione sulle proprie radici.
La Sicilia viene rappresentata nei suoi versi come un emporio delle genti, in cui identità e diversità si incontrano e si scontrano. Nel rievocare il mondo mediterraneo Cattafi prende le distanze dal rimpianto nostalgico del mito classico (di tipo quasimodiano) e nella denuncia dei mali non usa i toni neorealistici, tipici dei pensatori meridionalisti. Egli è costretto a guardare con rammarico la amata grecità in termini di estraneità: “Dov’è l’antica Grecia? / … Non ne so nulla …” (Storia). I popoli meridionali, “eredi della Grecia”, non conoscono la Grecia. Essi sono senza identità, costretti a tentare le dure integrazioni fuori dal loro spazio vitale. Hanno lasciato alle spalle il loro passato grandioso, quando gli abitanti delle Eolie con le loro imbarcazioni portarono alle regioni occidentali “le prime favolose faville dello spirito” (Eoliani). Oggi invece le isole – “con quanta vita alle spalle / che mare navigato” – sono fondate sul nulla (Isole).
La poesia cattafiana si cala dentro le cose nella quotidianità, senza inseguire dolci suoni, o nostalgici rimpianti consolatori. Il paesaggio non è elemento idillico; essendo arido e insieme ricchissimo, esso identifica una situazione esistenziale di antico dolore. Con il paesaggio circostante contrasta un popolo che “indigene abitudini incupiscono”, il quale viene qualificato con termini e aggettivi che mettono in evidenza gli aspetti più contrastanti: “il più ricco, più povero e profondo / ispido e intelligente / stupido sottoposto / al gelato cammino della storia / con riserve mentali / con meste meraviglie, / l ’irrimediabile mondo partorito / dalle figlie degli uomini, dei Greci” (Approdo).
La Sicilia ha perduto il suo ruolo nel corso dei secoli (Qui ogni mese fu buono / con o senza l’erre / per caccia pesca rapina – Sotto le rocce di Tindari) e oggi l’isola è ridotta ad un triangolo arido di marina solitudine … in un’aria di semicolonia (Thrinakie). Nella lirica “I colori del sud” scompare il tradizionale paesaggio meridionale: il bianco domina nella raffigurazione estraniata, in cui gli oggetti sono elencati come ammasso caotico, che riflette la condizione di vuoto e di assenza che si coglie “nell’occhio cieco immensamente bianco”.
Nell’ultima fase della sua vita il nomadismo giovanile viene trasferito da Cattafi sul piano surreale “tra tenebra e azzurro”. Ma, anche dopo essersi stabilito a Mollerino, il poeta maturo si ribella e in “Caput viarum” classifica come ladroni gli onorevoli che occupano il Palazzo dei Normanni di Palermo e vorrebbe che contro tutti i responsabili dell’arretratezza della Sicilia fossero “puntati e scaricati beretta e breda” (Mare grosso) …
Gino Trapani
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