top of page

Brevi cenni sull'arte sacra a Barcellona Pozzo di Gotto


La città di Barcellona Pozzo di Gotto è conosciuta a livello regionale soprattutto per la processione delle Varette. In verità le processioni sono due, ognuna per ciascuna delle due Arcipreture di Barcellona e Pozzo di Gotto, che nel 1836 si fusero nella municipalità odierna dopo essersi staccati, Pozzo di Gotto nel 1639 da Milazzo e Barcellona nel 1815 da Castroreale. Le Varette testimoniano il connubio inscindibile tra il Sacro e l’Arte. Quelle di Pozzo di Gotto, più antiche, sono in legno o cartapesta policroma e si caratterizzano per una impostazione più severa e intimistica (si veda in particolare il simulacro ligneo di U Signuri a Cascata dello scultore messinese Giuseppe Fiorello, premiata nel 1911 con la medaglia d’oro all’Esposizione Nazionale di Roma in ricorrenza del Cinquantenario dell’Unità d’Italia). Quelle di Barcellona sono più recenti (dalla fine dell’Ottocento fino al 1977) e si mostrano più fastose e movimentate, modellate in cartapesta policroma e di volta in volta addobbate con imponenti inserti floreali (si veda l’Ecce Homo, esemplata iconograficamente su un’opera del Rosso Fiorentino dall’artista barcellonese Matteo Trovato, autore di moltissime statue per le chiese cittadine e del circondario).

Ma, al di là delle Varette, le chiese dei vari quartieri di Barcellona custodiscono pregevolissime opere d’arte, meritevoli di una certa attenzione turistica e scientifica, databili dalla fine del Quattrocento fino all’Ottocento.

Furono i Basiliani, in fuga dall’Oriente iconoclasta, i primi religiosi ad insediarsi nel territorio barcellonese. Essi, per la precisione, presero possesso di una collina panoramica sul Tirreno che chiamarono Gala, dedicata alla Madonna Galaktotrofusa (cioè alla “Madonna che allatta il Bambino”). Qui impiantarono un importante monastero che – dopo la parentesi araba - fu rifondato nel 1105 secondo i tipici canoni dell’arte araba-normanna per volere della contessa Adelaide moglie di Ruggero il Granconte. Nel feudo dei basiliani era compresa la cosiddetta Grotta di Santa Venera, Tempio rupestre a pianta quadrata, su cui è impostata una cupola ottagonale. Recenti studi hanno messo in luce gli elementi di derivazione armena della sua architettura (con probabile retrodatazione ai secoli VII – VIII). Dal monastero di Gala provengono oggi alcune tra le testimonianze più antiche dell’intero patrimonio artistico cittadino, tra cui una tavola con fondo oro, di impronta orientaleggiante (del XV secolo) e tuttavia antonellesca, raffigurante San Basilio o San Nicola. Nella nuova sede in cui i basiliani si trasferirono nel 1779 sono stati trasportati altri reperti: un coperchio sepolcrale marmoreo di scuola gagginesca e una grande tavola con la Madonna delle Grazie, Sant’Agostino e l’Arcangelo Michele di Cesare di Napoli (1585) oggi nel Palazzo Municipale. Il nuovo monastero si segnala per la decorazione ad affresco del suo interno, con Storie di San Basilio, di notevole caratura.

Gli altri ordini religiosi, che stabilendosi nei vari casali barcellonesi diedero impulso alla civilizzazione del territorio, alla crescita religiosa e dell’arte secondo le direttive via via più attuali, furono i Francescani Conventuali, i Cappuccini e i Carmelitani.

I Francescani, installatisi nel quartiere di Sant’Antonino, vi edificarono un convento, tuttora esistente sebbene rimodulato in varie riprese, e una bella chiesa, nella quale, tra affreschi e tele sei-settecentesche, spicca il Crocifisso ligneo policromo, scolpito negli ultimissimi scorci del XV secolo (attribuibile al messinese Pietro della Comunella) secondo un’educazione tardo-gotica, con eleganze compositive provenienti da esperienze provenzali e borgognone.

I Carmelitani, provenienti dal vicino convento di Milazzo, si trasferirono sull’eponima collina nel 1579. Qui vi stabilirono una grande casa e una bella chiesa, ricostruita a più riprese in seguito ad eventi naturali e bellici e tutt’oggi perfettamente restaurata. Al suo interno, finemente decorato con stucchi rosa e bianchi, si conservano due belle tele settecentesche con la Madonna con i Santi Elia e Simone Stock e il Crocifisso e Santi Carmelitani e una statua lignea della Madonna del Carmelo del palermitano Angelo Occhino (fine Settecento).

I Cappuccini, approdati nei primi del Seicento nella collina del quartiere Massalini, fiorirono a Barcellona fino al 1866. Successivamente il loro convento fu trasformato in carcere e poi abbattuto. Del loro insediamento, si conserva oggi solo la chiesa nella quale ammiriamo un imponente tabernacolo ligneo, finemente decorato e intarsiato da Fra Macario da Nicosia, la Madonna dei garofani, la Madonna e San Felice (tele di Fra Feliciano da Messina al secolo Domenico Guargena) e la Porziuncola (tela di Frate Umile da Messina al secolo Jacopo Imperatrice).

Classificato come monumento di rilevanza nazionale dal 1969 è la Chiesa di San Giovanni, costruita nel 1635 (ma totalmente rimodulata nel 1754) nel quartiere che da essa prende nome, e caratterizzata da una facciata a capanna delimitata da due torri campanarie di ascendenza arabo normanna, sormontate da cupole a bulbo. E’ soprattutto il suo interno a caratterizzare la chiesa per la ricchezza delle decorazioni e il loro effetto scenografico. La controfacciata è affrescata con Gesù che caccia i ladroni dal Tempio, il soffitto della navata centrale con Storie evangeliche (Gesù e l’adultera, Gesù al pozzo, Gesù e la emorroissa), il catino absidale con l’Incoronazione della Vergine. Le cappelle laterali contengono interessanti tele dipinte ad olio tra il Sette e l’Ottocento. Non si conoscono con certezza gli artefici di tanta magnificenza (esistono altresì stucchi, marmi policromi ecc..), anche se si pensa che a lavorare in San Giovanni furono varie equipes di artisti barcellonesi tardo-settecenteschi, tra cui i Bonsignore, i Viscosi e Giuseppe Russo.

Graziosa è anche la chiesa dell’Immacolata, costruita nel 1702 per volontà di una confraternita, ancora oggi esistente. La facciata si distingue per la chiara semplicità di impostazione, mentre al suo interno troviamo fastose decorazioni a stucco e finto marmo. Notevoli sono il coro ligneo sull’altare, di provenienza basiliana e le sei tele con episodi della vita di Maria e Gesù, primo settecentesche.

All’antica conformazione del territorio dobbiamo far risalire l’esistenza in città di due Chiese Madri: quella di Pozzo di Gotto dedicata a Santa Maria Maggiore e quella di Barcellona, dedicata a San Sebastiano e di recente innalzata al rango di Basilica minore.

La prima fu edificata nel 1600 e ricostruita più volte in seguito ai terremoti. Sono custodite al suo interno opere provenienti dalla chiesa di San Vito, primiera chiesa arcipretale (valido esempio di architettura cinquecentesca e oggi in restauro). La chiesa di Santa Maria conserva interessanti lavori dell’Ottocento messinese (le tele con San Liberante (1861), il Sacro Cuore (1862) di Michele Panebianco, la Madonna del Rosario (1869) di Placido Lucà Trombetta, il San Vito (1884), il Battesimo di Cristo, le Anime Purganti (1862) e la Incoronazione della Vergine (1859) di Salvatore Ferro), nonché alcuni lavori più antichi di artisti locali (si veda la statua marmorea di San Vito, dall’omonima chiesa, di autore manierista).

L’imponente chiesa di San Sebastiano, sebbene mostri un linguaggio architettonico rinascimentale, è stata costruita nel 1936 in sostituzione del secentesco duomo danneggiato dal terremoto del 1908. Al suo interno, interessanti tele settecentesche di Antonino Viscosi, la Madonna che porge il Bambino a San Francesco d’Assisi (1606) di Gaspare Camarda, qualche lavoro attribuibile al pittore Filippo Jannelli (1621-1696) e soprattutto la pala d’altare con Martirio di San Sebastiano del pittore ottocentesco Giacomo Conti. E’ invece, lavoro recente, dell’artista barcellonese Filippo Minolfi la decorazione del catino absidale, con un grande affresco del Cristo Pantocratore, tipico tema medievale rivisitato dal pittore in chiave metafisica fortemente moderna.

Meritano un cenno altre opere conservate in varie chiese cittadine: le statue di Santa Caterina d’Alessandria (1550) di Vincenzo Gagini in San Rocco di Nasari, della Madonna del Pilar (1596) in Santa Maria del Piliere di Acquaficara e del Crocifisso ligneo (1670 ca.) nella chiesa omonima, le tele della Visitazione (XVI secolo) in Santa Maria della Visitazione di Centineo, dei Santi Rocco, Paolino e Caterina d’Alessandria (1580) di Cesare di Napoli nella sagrestia del Duomo di San Sebastiano, della Madonna del Rosario (1585) di Jacopo Vignerio già in San Vito e oggi nel Palazzo Municipale, di San Biagio (1677) di Filippo Jannelli in Santa Maria e Gesù, dell’Annunciazione di ignoto napoletano del Settecento in Santa Maria delle Grazie, nonché preziosi e antichissimi esempi di arte applicata (oreficeria, argenteria, gioielleria).

Andrea Italiano

Comments


bottom of page